“Chi ha raggiunto lo stadio di non meravigliarsi più di nulla dimostra semplicemente di aver perduto l’arte del ragionare e del riflettere.”

Max Planck

 

L’articolo di questa sera nasce da una serata tra amici e dalle riflessioni scaturite dentro di me il giorno successivo.

La situazione è la seguente: quattro adulti e un bambino di due anni e mezzo. Il bambino sta giocando con uno degli adulti su un divano, rischiando di cadere. Si cerca di esortare il bambino a modificare il gioco. La sottoscritta ad un certo punto esordisce, rivolgendosi all’adulto sul divano: “Sei tu l’adulto in questa situazione, sei tu che devi dire a lui cosa può o non può fare”.

In seguito alla mia frase, degli altri adulti uno dei tre ha iniziato a giustificarsi, probabilmente sentendosi attaccato;  gli altri due si sono voltati verso la sottoscritta con stupore, come avessero di fronte un alieno, dicendo: “E’ vero, hai ragione!”. Di questo piccolo frame il giorno dopo mi è rimasto dentro lo sguardo pieno di stupore. Come se la sottoscritta avesse rivelato una grande, grandissima verità. Mentre io avevo la consapevolezza di aver espresso una grande grandissima banalità, oggettivamente vera, ma banale. E ho iniziato a interrogarmi su come questo fosse possibile. La risposta che mi è venuta in mente è che spesso ciò che manca in questa nostra esistenza è proprio il pensiero. La possibilità ma anche la capacità di fermarsi e dedicare del tempo al pensare. «Ritagliarsi spazi per pensare fa bene da un punto di vista neurologico, perché aiuta la mente a non fare cortocircuito, a non ingolfarsi di vita affannata, quotidiana. E fa bene perché ci decentriamo dalle occupazioni più consuete per esplorare altre possibilità della mente e del pensiero, assicurandoci una ricarica di energia vitale» spiega Duccio Demetrio, professore di filosofia dell’ educazione a Milano Bicocca.

 

Di nuovo, proprio come quella sera, dico una grande banalità. Probabilmente, per mille motivi che esulano anche da noi stessi, facciamo fatica a trovare il tempo per fermarci, isolarci dalle reti nelle quali siamo inevitabilmente inseriti e ascoltare ciò che ci arriva da dentro, osservare ciò che stiamo vivendo da un punto di vista un poco più esterno. E credo sia uno sforzo che vale la pena fare. Che è un poco quello che si fa all’interno della stanza di psicoterapia. Ci si ferma. Ci si ascolta con l’aiuto di qualcuno. Si trova il tempo, fisico e mentale, per osservare noi stessi, le nostre relazioni, le nostre azioni, le nostre emozioni, un poco più da fuori. E’ incredibile la quantità di insights che si hanno durante un’ora di psicoterapia. Ma questo avviene, credo, bravura del terapeuta a parte, perchè ci siamo presi quel tempo, che è tempo per pensare, per creare connessioni, per pensare a delle banalità così banali che non ci ricordiamo neppure più di pensarle. Come diceva un tal Carl Gustav Jung: “E’ un peccato che noi teniamo conto delle lezioni della vita soltanto quando non ci servono più a niente”. E allora, visto che Jung se diceva qualcosa mica lo faceva tanto a caso, proviamo a prendere spunto dalle lezioni della vita nel momento in cui la vita ci offre lo spunto. Si potrebbe intanto partire da questo.

 
Dott.ssa Erika Fissore

Psicologo-Psicoterapeuta

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