Oggi vi racconto una storia. La mia storia professionale. Ve la racconto perchè è una storia che mi piace, con un lieto fine, come le storie più belle.

Ho deciso che avrei studiato psicologia, senza sapere bene cosa fosse una psicologa e cosa facesse, quando avevo 12 anni. Frequentavo la seconda media. La mia insegnante di italiano, che non era un’insegnante qualunque, ci raccontava spesso del suo “secondo” lavoro. Insegnava italiano altrove. Precisamente in carcere, nel carcere di Fossano. I suoi allievi eravamo noi, e lo erano i detenuti.
Non ricordo cosa ci raccontasse del suo lavoro, ma ricordo l’emozione che provavo ascoltando il suo racconto. Fu ascoltando lei parlare che decisi che avrei fatto la psicologa (il collegamento tra insegnante di italiano e psicologa mi sfugge tuttora, ma tant’è) e che avrei lavorato in carcere (questa è un’altra storia).

Nel corso degli anni hanno tentato di scoraggiarmi in tutti i modi, soprattutto gli insegnanti del liceo che avevano idea che la facoltà di psicologia fosse frequentata da gente strana (e probabilmente poco raccomandabile) e che comunque mai avrei trovato lavoro. Hanno tentato di scoraggiarmi anche alcuni colleghi “anziani”, convinti che non fosse strategico da un punto di vista economico, finire a Psicologia; meglio sarebbe stato studiare medicina e diventare psichiatra.

Nonostante tutto a Psicologia mi sono iscritta e pure alla scuola di specializzazione dopo la laurea.
Perchè? Era un sogno. Il mio sogno. Strampalato forse come sogno, ma il mio.

Così il mio augurio di oggi è che ognuno di voi possa incontrare nel suo cammino una persona come la mia professoressa di italiano, capace di infondere entusiasmo per qualcosa di ignoto in una ragazzina di dodici anni, tanto entusiasmo da zittire tutti coloro (reali o meno) che avrebbero tentato di smorzarlo. Perchè quelli si incontrano. Sempre.

 Dott.ssa Erika Fissore
Psicologo-Psicoterapeuta
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